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MI VEDI? è un’esperienza teatrale su Zoom scritta e diretta da Guillermo Pisani.
Traduzione e adattamento di Rita Maffei.
Con Paolo Fagiolo, Daniele Fior, Rita Maffei, Klaus Martini, Nicoletta Oscuro, Francesca Osso.
ANTEPRIMA
20 febbraio 2021, ore 21:00
PRIMA ITALIANA
27 febbraio 2021, ore 21:00
5 marzo 2021, ore 21:00
REPLICHE STRAORDINARIE
27 marzo 2021, ore 21:00
2 aprile 2021, ore 21:00
Concepita per la piattaforma di video conferenze Zoom, la pièce è recitata in diretta e a distanza da sei attori per un centinaio di spettatori, tutti “in presenza” e connessi da dove si trovano.
Durata : 55 minuti
Come fare insieme, come essere insieme se ognuno resta a casa sua?
Questa domanda è allo stesso tempo teatrale, politica e sociale.
Il regista Guillermo Pisani la mette in scena con uno spettacolo originale, co-prodotto per la prima versione in italiano dal CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, interamente provato e rappresentato a distanza grazie alla piattaforma di videoconferenza Zoom.
MI VEDI? è un modo di riprendere collettivamente, attraverso il teatro, le esperienze che sono state esacerbate dal lockdown e dal distanziamento sociale.
Nel suo precedente spettacolo, J’AI UN NOUVEAU PROJET (2019), Guillermo Pisani si è interrogato sulla presenza degli strumenti digitali nella nostra vita. La crisi sanitaria l’ha spinto a radicalizzare i suoi interrogativi sui nostri legami digitali in questa nuova creazione scritta e provata su Zoom.
Come un primo atto di resilienza.
Come è nato MI VEDI?
“L’idea di questa pièce è nata durante il primo lockdown nel marzo 2020. Cercavo il modo per continuare a fare teatro e ho pensato agli strumenti con i quali tutti cerchiamo di proseguire le nostre vite: Zoom, WhatsApp, Skype, ecc. Devo confessare – dichiara il regista Guillermo Pisani – che ero piuttosto reticente all’inizio, poiché a teatro sentiamo la compresenza fisica come ciò che definisce la nostra arte. Poi ho deciso di interrogare la questione stessa della compresenza fisica. Se, come diceva Jerzy Grotowski, il cuore del teatro è l’incontro, a che punto l’incontro fisico è costitutivo di ogni incontro? Non è possibile esplorare l’incontro collettivo senza la compresenza fisica? Ma allora, che caratteristiche, che natura ha questo incontro, sul piano dell’esperienza, del vissuto, dell’affetto, della percezione degli altri, del sentimento di aver vissuto qualcosa insieme o anche di appartenere a una stessa comunità?
Avevo già fatto l’esperienza di spettacoli in streaming o di teatro in diretta con Facebook live e Instagram.
Queste esperienze sono interessanti, ma mi sembra che non interroghino abbastanza la relazione con il pubblico, manca la condivisione di una vera esperienza comune. Ho cercato di produrre un’esperienza teatrale che sia assolutamente singolare, fuori territorio, una pièce che non sia né la traduzione di qualcosa che si dovrebbe fare in scena, né la ripresa di qualcosa che si realizza simultaneamente in scena davanti a un pubblico.
Su Zoom l’azione è in tempo reale
Lo spettacolo accade come una videoconferenza su Zoom. All’ora della rappresentazione, gli spettatori si connettono tramite un link inviato dal teatro. Si possono connettere con un computer dovunque siano e sono accolti dagli attori che sono, loro stessi, ciascuno in un posto diverso (a casa propria o in un luogo di prove e di lavoro). La rappresentazione si svolge in tempo reale con gli spettatori che, se lo desiderano, restano visibili sullo schermo. E’ un’esperienza molto forte vedere tutti quei volti, sentire che possiamo incontrare e interagire con questi strumenti digitali. Non si tratta di cercare di riprodurre le condizioni di una rappresentazione in sala, ma di condividere un’esperienza teatrale multi–sito, a schermo e a volte un po’ disturbata poiché ognuno è responsabile della sua immagine e del suo computer, con tutto che ciò implica, sia a livello di elaborazione dell’immagine o della voce, delle email e delle chiamate che arrivano improvvisamente e della condivisione del proprio spazio privato con lo spazio dello spettacolo. Alla fine della rappresentazione propongo allo spettatore una discussione con la compagnia per restituire la propria esperienza. Apriamo anche altre stanze di Zoom per gli spettatori che avranno voglia di chiacchierare tra di loro, come nel foyer del teatro.
Ritroviamo la comunità
Il primo lockdown è stato un tale choc, ha prodotto un tale sgomento a tutti i livelli della vita privata e della società, che ho sentito il bisogno di lavorare sul motivo della distanza e su ciò che la distanza ha sconvolto nella comunità. Come essere insieme se siamo separati? Ogni situazione interroga i nostri legami (affettivi, familiari, amorosi, festivi o associativi, ecc.) e la voglia del contatto, della comunità, il bisogno di prendersi cura dell’altro, di bere o di cantare insieme, tutti questi momenti di condivisione resi possibili e messi in tensione dalla videoconferenza. La pièce esplora le possibilità e le frustrazioni messe in atto dal fatto di essere privati della presenza fisica degli altri. Come si arriva una volta ogni tanto, malgrado tutto, a fare l’esperienza di vivere qualcosa insieme? Volevo mettere lo spettatore al centro di questa esperienza che, in qualche modo, interroga il mito della comunità (teatrale o altro): le forme concrete di un’utopia sono sempre deludenti ma l’aspirazione, le domande e il processo che dispiegano sono necessari e appassionanti da osservare.
Con Zoom, abbiamo dovuto completamente reinventare il processo di creazione, provando a distanza, apprendendo un linguaggio ibrido fatto di teatro, immagini e tecnologia web, invitando anche molto presto degli spettatori complici per cercare insieme come vivere un’esperienza comune con questo oggetto teatrale.
Una prima serie di sperimentazioni erano programmate nella stagione online della Comédie de Caen, poi siamo stati in qualche modo presi dal nuovo confinamento che ha accelerato il nostro processo di creazione e di diffusione. Lo spettacolo è stato montato in meno di tre settimane nella versione francese e in un paio di settimane circa per la nuova versione italiana co-prodotta con il CSS di Udine!
Ci tengo a dire che, se il progetto è nato dalle circostanze e che è in questo senso “opportunista”, non si tratta di un opportunismo vano. Per me, ciò che Mi vedi? intende interrogare ha un’importanza che va al di là della crisi del Coronavirus, poiché le tendenze che questa crisi ha contribuito ad accelerare non spariranno quando la crisi sarà finita. L’articolazione delle questioni teatrali e delle questioni politiche e sociali è centrale per la nostra compagnia”. Guillermo Pisani (testo e regia)
Guillermo Pisani
Autore, regista, drammaturgo e traduttore, è il direttore artistico della Compagnie LSDI.
Ha scritto e diretto: J’AI UN NOUVEAU PROJET (2019, Studio- Théâtre de Vitry), C’EST BIEN AU MOINS DE SAVOIR CE QUI NOUS DÉTER- MINE A CONTRIBUER A NOTRE PROPRE MALHEUR (portrait de Pierre Bour- dieu) (2017, La Comédie de Caen – CDN de Normandie / Théâtre Ouvert), LE SYSTEME POUR DEVENIR INVISIBLE (2015, théâtre de Vanves).
Prossima creazione : JE SUIS PERDU (Les Plateaux Sauvages, 2021).
Ha anche scritto: MEXICO (regia di Marcial Di Fonzo Bo e Élise Vigier, Théâtre National de Bordeaux en Aquitaine, 2013), NAMUNCURA (mise en espace d’Alain Françon, Théâtre Ouvert, 2009), DÉPAYSAGE (lettura di Alain Françon, Théâtre Ouvert, 2008), (JEAN) LOUIS 9 (teatro di strada, regia di Cécile Fraisse nella città di Pontoise, 2007), LA NOSTALGIE DU MARTIN-PECHEUR (mise en espace d’Adrien Béal, Théâtre de Vanves/Espace Gazier, 2005), OTRA QUE MEA CULPA (regia di Mariana Armelín e Mariana Rovito, Théâtre Del Otro Lado, Buenos Aires, 2002).
Come dramaturg, ha accompagnato le creazioni di Rafael Spregelburd, Marcial Di Fonzo Bo, Elise Vigier, Pierre Maillet e Adrien Béal. Ha anche collaborato come autore e dramaturg con il coreografo spagnolo Chevi Muraday (Premio Nazionale della Danza 2006).
E’ il traduttore francese del teatro di Rafael Spregelburd, pubblicato da L’Arche Editeur. Ha anche tradotto pièce di Daniel Veronese e di Ignacio Bartolone. La sua traduzione in argentino de La Réunification des deux Corées, di Joël Pommerat, per il teatro San Martin de Buenos Aires, ha ricevuto il Premio Teatro del Mundo nel 2018.