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“Cinema e psicanalisi. Cinema e sogno. L’86enne Woody Allen ci ha costruito un’intera, lunghissima, gloriosa filmografia.
Con Rifkin’s Festival – finalmente nelle sale italiane dal 6 maggio, grazie a Vision Distribution – il regista di Manhattan e Io e Annie sembra voler catturare l’essenza di un percorso, irrimediabilmente segnato dalle influenze dei “grandi maestri europei” e dall’ipocrisia di un sistema, quello del cinema appunto, affidandosi ancora una volta ad una sorta di alter ego, Mort Rifkin (Wallace Shawn), ex professore e fanatico della settima arte, ora deciso a scrivere un romanzo, sposato con Sue (Gina Gershon), affascinante publicist cinematografica.
Con la consueta, briosa ironia, ammantata dalla solita malinconia, Allen racchiude il racconto all’interno di una seduta di psicanalisi, con il protagonista che ritorna con la mente all’ultimo viaggio fatto insieme alla moglie, al Festival di San Sebastián, in Spagna (dove il film ha avuto la sua première mondiale, nel settembre 2020): Mort sospetta fortemente che il rapporto di Sue con il giovane regista suo cliente, Philippe (Louis Garrel), vada ben oltre la semplice sfera professionale.
Tra banalità assortite (l’esaltazione mediatica di un regista che fa film “contro la guerra”), cocktail insopportabili e quant’altro, Rifkin – dai gusti personali che spesso fanno sì che le persone si allontanino da lui – incomincia a sovrapporre alla realtà circostante situazioni oniriche che ricreano, di volta in volta, alcune delle sequenze dei capolavori che hanno segnato la sua esistenza.